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Mesti riverberi
Documento senza titolo

 

 

 “Una poesia che prende subito e attanaglia per portarci nel vivo degli eventi... Niente, dunque, pensieri allo sbaraglio, niente sperimentazioni che straziano il lessico inventando occasioni perdute di semantica.... I versi sono scanditi con ritmo sincopato, si snodano senza tregua, incalzano febbrili e alla fine si stagliano imperiosamente in noi come sentenze alle quali non possiamo disubbidire”

 

 “A poetry that immediately catches and grips our attention bringing us to the heart of events… Nothing, then, but routed thoughts, no experimentations that mangle the lexicon inventing lost occasions for semantic… The verses are enunciated with a syncopated rhythm, they wind endless and finally stand against ourselves as sentences that we can’t disobey”

 

 

 

Folle gracidio

 

La tua umbratile

onesta saggezza

ripara

dal folle gracidio

di vacue

lingue accese...

(solo un po’ di inchiostro

mi hai lasciato

nei ruvidi fogli

bianchicci)

Nel fulgido brillìo

dei tuoi grafemi

si schiara

l’annunciata

visione

di agnizioni sottese...

 

 

Forse è meglio

 

Forse è meglio

sperperare

quest’epica ora

con un ibrido strazio

una vacua fellatio

una vis d’emendatio

una pia nominatio

che ancóra

incautamente

sperare

in quell’esile

ultima ratio...

 

 

Es-cogito

 

Rifiuteremo noi stessi

le nostre appendici

reinventando

lo strazio sorgivo

di stravolte

errabonde radici?

 

 

Profumi perduti

 

Ha un odore allargato

rotondo

quel vuoto perpetrato

quell’urto perpetuato...

Lo respiro

lo riconosco

lo ritaglio

dal quaderno dei profumi

perduti

dal sudario

degli errori dovuti...

 

 

Hapax

 

         masticare

come chewingum

la propria angoscia

mollemente distesi

sul ricordo

ovattato

         o virilmente protesi

su babeliche trombe

coniare

un hapax immortale?

 

Forse non è fòlle

l’ignavia / né

immorale

 

 

Antiche verità

 

In trappole astute

e infidi tranelli

affossa

l’urgenza spavalda

risucchiata

da antiche verità?

 

 

Né fede

 

Ne fede

né frode

né fallo

      odi soltanto

il frùscio

beffardo

del Nulla

affrancato

 

 

Fragole asprigne

 

Inebrianti

profumi ancestrali

di tronchi muschiati

di resine amiche

di fragole asprigne

       mi svegliano

da ottuse

identità sopite...

 

Con piedi umettati

da brine montane

(invaghita di vita)

        percorro

gli antichi sentieri

le impervie strettoie...

 

Ebbra di linfa pura

intatti

ritrovo i sapori

dei succulenti frutti

di una breve infanzia

Ibernata.

 

 

Ogive azzurrine

 

 Mille lubrichi

occhi

larvati

mi  /  guardano

da nitenti

ogive azzurrine

ma ancóra nessuno

mi  /  vede

oltre le schiuse

opacizzate verande

del Pensiero.

 

 

In-spirare

 

Lasciatemi  /  almeno

     in-spirare

quieta

nel sudario

impregnato

dei miei sitibondi peccati

 

Almeno  /  guardatemi

    espiare

l’alito puro

carpito

ai miei errabondi pensieri

 

 

Impietoso eterno andare

 

Dal tetro carcere

del tuo Pensiero

con ancestrali chiavi

finalmente  /  evadi...

 

Con accorte funi

provvidamente

vieni a salvarmi

dalle penose sabbie

del mio insensato

agonico affondare...

 

Assieme

con nuove malte

ricomporremo  /  caparbiamente

l’antica gabbia

assieme  / tu e io

riesumeremo

le avite usanze

del nostro impietoso

eterno andare...

 

 

Mesti riverberi

 

Nell’argenteo crepuscolo

della protesa

         proterva

         procrastinata

 

Illusione

 

tacitamente ammiccano

i mesti riverberi

di una precoce

           pressante

           presagita

 

Induzione

 

 

Chiosare

 

Perché perdura

quest’antico

bisogno di chiosare

con penna zelante

scritture

fatture

fratture?

 

Forse  ancóra mi preme

con spasmo anelante

l’urgenza

di riappropriarmi

delle confuse

agoniche lettere

di un Sillabario

incompiuto.

 

 

Eclisse asiaghese

 

Un’esile

falce

di sole

taglia

il mantello

di un cielo  /  allibito.

 

Nell’alpestre

meriggio

attoniti

a terra

scorgiamo

il nerigno

riflesso

di un enigma  /  infinito.

 

 

Avatàr

 

Dilaga

nello spazio infinito

dal sorriso del Dunque

l’accecante bagliore

di un trasognato

agognato “avatàr”!

 

 

Cinabro

 

Meglio uno schiaffo

un insulto

un urlo

una bestemmia

a questo vile

Silenzio esiziale

che i fecondi grappoli

di attese mature

affloscia nella vendemmia

di un cinabro remale!

 

 

Amebei

 

Mi fa male scrivere poesie

          (chiedermi e rispondermi)

mi fa male leggere poesie

         (prendere e com-prendere)

-“oh il dolore antico della poesia!”-

e mi fa male assottigliarmi

nei convessi versi agonizzanti

          imbrigliarmi

in serrate rime incensurate

         sventrarmi

in traslati appuntiti sensi...

 

Quale prosastica

nitente epifania

potrà salvarmi dal gelo

onnivoro

dei miei incalzanti

dementi amebei?

 

 

Un acrostico per Bennato

 

E ancóra spandi nel mio giardino

Dolce acre sapore pregustato

Orgoglioso della tua vacuità cogli

Allettanti ieratiche dis-armonie

Ruvido uomo campano esorcizzato

Dov’è Nitida? Mi sono persa

Ora tu mostrami l’entrata diversa

Basta seguire le tue fantasie

Ecco io nuoto al largo - e tu lo sai -

Non puoi trovarmi né ora né mai

Non voglio donarti le mie bugie

Adesso sempre forse allora

Ti cercherò fra mille maschere dementi

Oltre i miei azzurri occhi impudenti

 

 

Ortensie screziate

 

Divelto è il boschetto

un tempo ombreggiato

da ortensie screziate di viola

rosa azzurrino (Ortensia anche

il nome di tua sorella)

avviticchiato

al cancello ferrigno

della mia scuola...

Le tue vecchie

provvide mani

sfidavano

grate appuntite

con buone merende

di pane e frittata

(ingordamente consumate)

 

Oltre le meste lance

arrugginite

ora  /  Io  /  voglio

allungare

le gravide

lecite mani

per trattenerti  /  ancóra

un poco

nel giardino odoroso

della mia vita...

    e ricomporre  /  almeno

la corolla sfilacciata

della nostra ambigua

appartenenza

 

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