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Sulla produzione letteraria di Gabriella Bertizzolo hanno scritto:

Azzolin Giovanni: «L’autrice [Antiche fessure] ha un contatto veramente “carnale” con la parola, una presa sui ritmi e sulle parole che è veramente straordinaria! Solo uno che ha capito che cos’è la poesia può avere queste attenzioni particolari. E non stupisce perché alla base della Bertizzolo ci sono i classici, Hesse, Baulelaire, Kafka... E poi Properzio, fra i poeti nuovi latini» (10 ottobre 1997) Mario Bagnara: «Il titolo dell’ultima silloge Argonauta trae ispirazione dal mitico viaggio di Giasone nella Colchide, esprime anche la sua ostinata volontà di conquistare questo suo particolare “vello d’oro”. A stimolare l’autrice nel suo impegno poetico concorrono sia gli affetti familiari (compreso quello per il gatto Nerino della vecchia casa bassanese dei genitori, una specie di “Lar familiaris…ultimo custode/ del dolore degli anni covato nei muri/ sbrecciati da lemuri inquieti”) sia i vasti interessi culturali che spaziano dalla letteratura greca alle religioni indiane, dalla psicanalisi freudiana alla grande letteratura contemporanea, con puntuali e affettuosi omaggi a protagonisti come Giorgio Caproni, Giorgio Barberi Squarotti, Mario Rigoni Stern, Hermann Hesse, Eugenio Montale, Padre Davide Maria Turoldo e allo stesso poeta/curatore della collana Ruffato. Sono tutti elementi che, tratti da esperienze concrete e filtrati attraverso una delicata sensibilità personale, come precisa bene l’autrice stessa nelle sue illuminanti Annotazioni finali, trovano armonica espressione nei circa novanta componimenti delle due sezioni, introdotte da citazioni di Pindaro e Paul Valéry. Un certo sperimentalismo lessicale e stilistico, per altro ben ponderato, ne impone una lettura attenta, ma da questo “florilegio increspato/ dell’esistenza” ove la poetessa dichiara di aver “con rigenerato inchiostro/….trascritto i trasognati appunti/ di un’iridea procrastinata attesa”, è facile cogliere la sua concezione esistenziale nella quale alle constatazioni pessimistiche non manca mai di contrapporre una prospettiva salvifica, per certi aspetti mistica. Ecco allora il quadro apparentemente desolante di una “pruriginosa civiltà del malessere/ invischiata in sterile narcisismo…” e del “gemito antico / dell’affranto universo” in cui, “reclusi in noi stessi dal babelico/ gracidio dell’esistenza,/ non captiamo echi di convergenza/ nel frastuono di colpe ed eventi” e, “perduti nel dedalo della passione/ siamo vittime dell’eterna tensione/ che scarnifica e impunemente vivifica”. Ma non viene mai meno la, pur tormentosa, ricerca di verità, “l’insolvibile concupiscenza di conoscenza”: l’autrice infatti si proclama ”presaga ancora / di tiepide promesse” e quindi riesce a intravedere “le tessere sorgive / di un’esistenza proficua”. E nell’”improvviso bagliore / d’infinito”, “nell’immensa vertigine/ delle solitudini stellari/ nella catarsi dell’assoluto/…” può riprendere anche il dialogo d’amore e ritrovarsi “glabra essenza/, nel nido/ di un’universale identità”; pur “nell’alveo del pino resinoso/ finalmente estesa”, potrà “avvertire/ il fruscio discreto/ di una siderale libertà”, per remare quindi “verso approdi di luce/, epifania di sofia”» Giorgio Bárberi Squarotti: «Se gli agili, alacri, cantanti, vivacissimi Versi in gabbia raggiungono spesso l’efficacia folgorante di sintesi di vita e di riflessione per la loro essenzialità epigrammaticamente sentenziosa, in Antiche Fessure i risultati di indiscussa originalità vanno ricercati nelle parti più inventivamente ironiche e avventurose, meno mi paiono originali i componimenti in cui si insinua la tentazione dell’autocompiacimento o del patetico. Ma la raccolta, nel complesso, è vera e viva..... Opera di poesia e verità [Mesti riverberi], poesie che sono molto divertitamente amare e nervosamente aspre e ironiche, lontanissime da quelle precedenti. Le sue creazioni e invenzioni sono in me come una lezione e un’emozione perfetta.... La nuova raccolta [Tutto era inizio] riletta, conferma la forza, l’acutezza, la rapida drammaticità del discorso, il ritmo essenziale, scavato, doloroso. Colpisce lo scatto del concetto e del giudizio. Consacra in modo esemplare la sua poesia. Il discorso della Bertizzolo [Il fruscio dell’attesa] si è fatto sempre più rapido ed essenziale, rigoroso, scandito fortissimamente. Ciascun verso tende a risolversi in sentenza, principio: e il risultato è esemplare e molto originale.... Rapidi, intensi [Racconti di donne inediti], fra ironia, gioco, emozioni, ansie (e, forse, soltanto Eurosia mi convince un po’ meno per qualche eccesso d’enfasi). Per il tramite della gatta uccisa [Oltre il cancello] esprime molto bene la tragicità e lo spreco della vita.... Racconti rapidi, persuasivi, molto ben condotti, originali, vitalissimi fra ironia, gioco, emozioni, ansie: l’autrice sa cogliere l’essenziale di esperienze e situazioni delle sue protagoniste, donne e ragazze fra inquietudini dei sensi e desiderio e sesso. Per quanto riguarda "Figlio di Mercurio" posso dire che lo trovo un romanzo originale (in un periodo di molta stanchezza e debolezza del genere), vivo, inventivo per stile e vicenda, e spicca esemplarmente su tutte le ripetizioni e banalità dei romanzi dei nostri anni, come un trionfo raro di verità e di bellezza.» Guglielmina Bernardi: «In Antiche fessure l’autrice ha saputo far fluire in modo pregnante emozioni ricordi stati d’animo, un compatto magma di vita insomma, attraverso il quale poter compiere, a ritroso e nel presente, la propria ricerca esistenziale; ricerca che, non esulando da quelle altrui, propone scoperte e riscoperte dei valori universali dell’uomo. A questa si accompagna, intersecandosi, una tenace, quasi esasperata ricerca di identità. Ben difficile è risolvere e ricomporre questa dualità che, nell’autrice, assume spesso il carattere di una dicotomia straziante» Alberto Bevilacqua: «Ho letto con interesse le poesie della raccolta Versi in gabbia: mi sono molto piaciute, mi sono sentito in sintonia con lei. Complimenti vivissimi!» (da una conversazione telefonica, 25 ottobre1997) Luigi Carotenuto: «Riecheggia il mito nel percorso tra gli inferi e l'Eden psichici dell'ultima silloge poetica di Gabriella Bertizzolo, Argonauta. Intitolata così “proprio per il grande fascino che fin da bambina questo “viaggio” per antonomasia ha esercitato su di me”, dichiara l'autrice in una nota del libro; e come gli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro così la poetessa si muove in cerca d'espiazione catartica, “tra il nihil e l'omnia”, tentando di riagguantare memorie, speranze e doni perduti, sottraendosi alla “morsa del Vuoto” che trattiene “con ghigno beffardo”. Avvinta da una “...insolvibile concupiscenza / di conoscenza”, madre di diletto e tormento, la Bertizzolo spreme intelletto e cuore “nella nivea pagina” dove “le parole sono mute” tra significati e significanti estenuati. Un duro lavorio interiore, anche inconscio, al quale fa da contrappunto la ricercatezza ed eleganza formale dei versi (Nell'infinito riassunto di vita / spaurito, alzi la mano / e con occhi sporchi di fiaba / chiedi cinture di sicurezza […] Ars docendi). Mito e psicanalisi sono sempre andati a nozze da Freud a Jung e in questa raccolta trovano ampio terreno fertile grazie allo scrutare analitico, all'utilizzo semantico e lessicale del dizionario classico (dal greco al latino e le lingue neolatine). Senza stridori, c'é spazio anche per la trascendenza di matrice teologico-cristiana (Inesauribile torcia di Fede / faro di Speranza / travaso di Carità / […] sulle gracili spalle sostieni / il macigno di confidenze tremende. Credo quia absurdum), diverse infatti, sono le poesie dedicate a figure di santi o eremiti. Fra interiorità e alterità, in attesa della “demiurgica Parola”, gravita sospeso l'universo simbolico di Argonauta, apotropaico antidoto al tedium vitae» Toni De Gregorio: «Ho letto i tuoi libri di poesia con vivo interesse, memore anche delle animate discussioni nella sede di Ipotesi Cinema all’Istituto Valmarana a Bassano e poi a San Giorgio In Bosco. I tuoi testi poetici mi hanno fatto riflettere, soprattutto Antiche fessure e Tutto era inizio. Grazie per avermi offerto la lettura, in anteprima, dei racconti inediti Incontri al Lido per i quali con piacere, per quanto posso, scriverò qualcosa come nota di presentazione. Nelle tue vivaci e precise storie degli incontri con i grandi cineasti (io ho avuto la fortuna di essere alla Mostra del Cinema tanti anni fa e di conoscere Pasolini, poeta autentico), fa capolino l’afflato poetico che ti contraddistingue. Anche tu sei poeta!» (giugno 2005. La nota di presentazione agli Incontri al Lido non fu più scritta a causa della grave malattia che colpì il regista, scomparso nel 2006) Carmelo Depetro: «Poesia spontanea quella di Versi in gabbia di Gabriella Bertizzolo, nata dallo sforzo di voler capire se stessa, i suoi umori, le sue passioni, per uscire dalla gabbia in cui si sente costretta. Ora la poetessa avverte la sensazione di larva che esce dal guscio molle, ora sente di essere trascinata in un gorgo di delirio amoroso, ora sente una regressione alle sorgenti della vita in Dolce figlia radiosa» Antonio Faccio: «Poesia culta e letteraria quella della Bertizzolo, fatta di lame taglienti e di colpi di spada che non si sa se vogliono colpire gli altri o se stessa, una lirica in cui il significante tende a essere fine a se stesso e comunque a prevalere sul significato, spesso chiuso, oscuro, labirintico, segreto e celato in involucro di parole autoreferenti ed idiosincratiche» Lucio Favaron: «La Bertizzolo nei Sonetti per i miei Santi ha rispettato appieno le regole metriche esprimendo le sue poesie in forma di sonetto, componimenti tra i più eletti e difficili della lirica italiana...Tutta l’opera di Gabriella Bertizzolo [Versi in gabbia] rivela una profonda conoscenza di quell’eterno fluttuare di speranze e di inganni che facilmente domina le sue vicende.... E là dove la passione erompe anche se “ingabbiata” che l’autrice sa toccare una ‘pànica’ esaltazione.... Un impatto di candore e di modestia, di apostolato per cause nobili ma anche perdenti, di tentazioni represse e di orgogliose speranze. I suoi versi non sono statici ma denotano azioni continue, gestualità di parole in movimento, atteggiamenti fluidi, movenze di corpi che suscitano nel lettore emozioni ed impressioni... All’irruenza, alla foga della denuncia morale, al confronto tra l’errore e la supposta giustizia [Tutto era inizio], emergono luminosi, icastici, irrefrenabili la pietà e l’amore. Nella sequela di invocazioni che coronano e completano, come in un unico spasmo di sofferta dedizione, la prece Magnificat anima mea matrem, dove il dolore trova ed incontra un’accesa, vibrante, intensa voce di gratitudine, la voce della poetessa diventa supplica universale emessa oltre il Tempo e lo Spazio, appello e memento rivolto a tutte le creature. L’empatica apertura verso gli Altri come com-partecipi del medesimo destino costituisce connotazione saliente del florilegio... La particolare poetica della Bertizzolo, così scarnita nella parola scritta [Il fruscio dell’attesa], programma e attua escursioni in altri mondi ed in altri modi di vivere allorché vuole contrastare la svalutazione delle idee e l’assenza di riferimenti ai valori etici della memoria. La Bertizzolo umilmente ci insegna che è solo con la conoscenza che ci si appropria delle emozioni, non con la deformazione della realtà, poiché il Mondo è pieno del sapore della Morte ed il silenzio che interroga la Coscienza garantisce il senso di una pienezza interiore che deve dare sollievo all’ansia di individuare il mistero, sempre atteso, di noi stessi. Tutta la sua poesia oscilla tra diverse identità e ora ne sospende una, ora ne sospende altra, staccandole tra loro solo da un soffio, da un ‘fruscìo’ che nasce sì da un mondo interiore ma che ricalca valori universali dello spirito. Il mondo interiore della Bertizzolo attraversa immagini in cui le linee, le forme, le luci e le ombre sono segni del proprio pensiero che si traducono in parole lievitate dall’ispirazione che racconta vicende in cui l’Umano e il Trascendente trovano reciproca completezza. In sintesi la Bertizzolo, come autrice di poesie (anche nella prosa ha dato prova della sua valentia) si deve ritenere più che eccellente, raggiungendo l’acme in versi secchi e brevi, mai fuorvianti, ma dotati di una sincerità di espressione che raggiunge perfettamente lo scopo di coinvolgere l’autore in un’autoanalisi speculare» Matteo Giancotti: «In Argonauta Bertizzolo interpreta la poesia, fin dal titolo come un viaggio avventuroso, prova che porta ai lidi dell’altrove attraverso l’esplorazione delle acque incerte del linguaggio. La sua è una lirica filosofica, a volte psicanalitica, dove l’occasione concreta che genera le parole è spesso smaterializzata in un alone sacrale e vagamente misterico. Ci sono testi in cui l’autrice sembra interpretare il ruolo di una sacerdotessa (a volte menade) della parola poetica: aspetto interessante, specie se queste antiche atmosfere oracolari vengono rivissute su supporti moderni (“l’algido display del cellulare / sfrego/ come lampada di esotiche fiabe”). Se un po’ più di vita concreta entrasse in queste pagine, la partecipazione del lettore forse aumenterebbe. Accade, ad esempio, in uno dei pezzi più belli: ad Asiago, bambini che saltano sulle reti elastiche sembrano “pensieri sorgivi”:”s’innalzano/ verso silenzi rarefatti/ al confine di epifaniche attese» Giovanni Giolo: «La poesia della Bertizzolo tende all’abolizione narrativa del dialogo: un cielo del destino senza misura, senza pietà, implacabile e assoluto. Il bagliore e la vanità della parola, la caduta della voce, l’abbandono cieco, il limite dell’ urlo convulso e del gesto decisivo. Mancano i paesaggi e tutto si stempera nel cerchio chiuso e tenebroso del labirinto dell’io e della tensione dell’anima. Mancano i colori come in un implacabile spessore dello specchio, dove le immagini del vivere, appaiono e svaniscono, in una grigia luce insostanziale. In Antiche fessure si sente la tensione della ricognizione della parola aspra e ricercata, preziosa e lontana dal codice della tribù, il tentativo di un linguaggio depurato dalle incrostazioni e i detriti di cui la giornaliera comunicazione lo ha caricato, l’ansia di arrivare ad una forma rarefatta, inaccessibile ed ermetica in una puntigliosa intransigenza che nasconde un intento intellettualistico e volontaristico che avrà modo di decantarsi e di depurarsi” ... Una Bertizzolo più fredda [Mesti riverberi], analitica e riflessa che dall’ardore e dall’entusiasmo delle prime raccolte si raccoglie nella categoricità di icastiche espressioni lapidarie che lasciano spazio a una visione disincantata e perentoria della realtà. Più sincera ci appare la poetessa quando parla del suo mondo interiore e dei suoi affetti più intimi ... Le liriche presenti nella silloge Tutto era inizio sono elaborate, culte, a lungo meditate e studiate, ricche di figure retoriche, in una ricerca estenuata della parola assoluta e rarefatta, depurata da tutte le incrostazioni e i detriti della comunicazione di massa, lontana, per dirla alla Mallarmé, dalla lingua della tribù. La peculiarità di questa silloge è la “cognizione del dolore”, la condivisione della sofferenza con la madre ammalata. Alla madre inchiodata nel letto come in croce la poetessa innalza un inno, un urlo di dolore, di fede e di speranza alla “madre antico pianto / manto ai miei miserere”... Non si tratta [Almanacco paredro. Un secolo in un anno. Bertizzolo-Caproni] di ritenere che la Bertizzolo sia sullo stesso piano della poesia del livornese, ma di coglierne affinità di temi e di vibratili sensibilità liriche. Il tema della madre, del viaggio visto come viaggio interiore e la musicalità dei versi sono profonde consonanze interiori» Norma Malacrida: «(Argonauta 1° classificato al Premio Il Convivio Messina 2009) Una versificazione, quella di Argonauta, essenziale, talora scarna, che connota un percorso stilistico espresso in un linguaggio criptico che non si apre a una lettura superficiale ma ha bisogno di essere "centellinata" per capire, riflettere, meditare sulla parola al fine di coglierne il nettare, e gustarne fino in fondo l'essenza che nutre. In un uso ricorrente ad un linguaggio espresso in simboli e con una terminologia ricercata, dotta, talora inusuale ma efficace e fulminea nel creare immagini e rappresentare messaggi, la poetessa esprime una vasta gamma di tematiche che attingono al magma esistenziale, nel suo scorrere lento ma inesorabile, che tutto travolge lasciandosi dietro rocce di lava che bloccano processi vitali e intossicano e soffocano con i loro miasmi stentate esistenze. Solo la Conoscenza, la Poesia come ricerca di Assoluto in "sillabe scabre per unire brandelli di vitalità" e l'autenticità dell'essere nella ignuda simplicitas possono diventare "memento del sepolcro svuotato/a risvegliare/intorpidite larvate coscienze» Sandro Gros-Pietro: «Il contenuto della poesia della Bertizzolo è un sunto letterario del secondo Novecento: c’è un io-poetico che si interroga sulla propria evanescenza, in una condizione mentale che sublima al metafisico o che quanto meno sfuma sempre più in una fisicità indeterminata e vaga con un’evaporazione dei ricordi e degli eventi concreti, nella decantazione delle scorie del vissuto. La poetessa in Mesti riverberi cerca la via di una consapevolezza negata, il fascino di un idillio impossibile, la nostalgia di una rimembranza dispersa. La Bertizzolo esplora il versante poetico dell’impalpabilità del dicibile, dell’inconsistenza delle idee, della leggerezza e dell’assurdo dell’essere, fino a costruire delle situazioni eteree di pura idealità astratta, come supremo esempio della sapiente bellezza del dire... L’autrice ha perfezionato [Tutto era inizio] un percorso di interpretazione e di testimonianza degli intrecci, strappi, ricadute e risurrezioni che compongono la vita umana, e la rappresentano come mosaico enigmatico non pianamente ascrivibile a una logica cartesiana di nessi e concatenazioni plausibili e leggibili con il conforto della scienza e della conoscenza, al contrario corrispondono a una dilatazione analogica del discorso o, se si preferisce, ad un’esplosione frattalica della realtà e dell’invenzione. L’efficacia della parola è al centro del discorso poetico dell’autrice, e porta con sé una valenza di svelamento e di inveramento: poesia di parole, non di silenzi, dunque. Accade così che il dialogo poetico - sempre più vicino all’enigma sapienziale del poeta, al discorso vaticinante e ammantato di luce e di attesa - sia pronunciato in un riverbero citazionale non solo di voci di altri poeti ma anche di immagini di altri pittori, fra i quali un posto di accorata primazia detiene nel cuore della poetessa Antonio Baggetto, suo illustre antenato materno di Bassano del Grappa... La poiesi della Bertizzolo [Il fruscio dell’attesa] forse in grazie di una deriva attinente alla psicanalisi e per il fatto di essere orientata all’interpretazione di segnali e di sogni, è andata sempre più crescendo come intreccio sapiente di parole e di immagini, sovente coniugate insieme nell’adozione di uno stile poetico particolarmente denotativo, quasi con effetti visivi, di un figurativo concettuale trasmesso attraverso le parole... In Argonauta l’autrice ribadisce la sofferta convinzione che attraverso la poesia sia possibile intraprendere una strada di fortificazione della conoscenza, se non proprio di approdo alla sapienza e alla verità; infatti una delle endiadi da lei più frequentemente ingaggiate nel suo linguaggio è quella di usare il termine “conoscenza” in accoppiamento con quello di “eunuco”, come volesse alludere al desiderio impotente nutrito dal poeta di raggiungere la copula con la sapienza e la verità. Da argonauta con efficacissima perizia attraversa i mari più diversificati dell’esperienza poetica e ci fornisce modelli della molteplicità dell’avventura letteraria» Franco Loi: «Nel momento stesso in cui un poeta pubblica i suoi versi, questi non sono più suoi ma patrimonio di tutti. Auguri per la sua attività poetica!» (da una conversazione al Convento dei Servi di Maria a Isola Vicentina, 14 dicembre 1996) Aldo Lucchetti: «Prender contatto con la poesia della Bertizzolo vuol dire trovarsi ben presto trascinati in un magmatico effluvio di sentimenti; magma ricco e variegato che, scaturito da un centro, il cuore dell’autrice, a quel centro torna con una caduta dolorosa il più delle volte, liberatoria molto di rado, anche se, in ultima analisi, tutta impregnata di amore per la vita» Dante Maffia: «In Antiche fessure vi sono versi che mi hanno inquietato, che mi hanno messo dinanzi a dilemmi, che mi hanno esaltato. Lei è poetessa vera ed autentica” (da una lettera personale all’autrice datata 22 ottobre1997) Gabriella Bertizzolo [Mesti riverberi] muove dalla mai sopita urgenza di chiarire prima a se stessa e agli altri il senso dell’esistere: e lo fa evitando di sovrapporre strutture estranee al suo ritmo interiore, evitando di caricare di essenze fuorvianti il suo sguardo nitido, limpido, il suo sentire aperto, privo di schemi. Il libro è composito, ricco di tematiche ed è difficile ridurlo a una qualsiasi definizione, anche perché l’autrice, a volte, si imbarca in analisi sulla funzione della parola, della poesia. Ed è questo intervenire della poetessa sul senso primo e ultimo del vocabolo che rende il volume ancor più prezioso, perché non nasce da una pura curiosità intellettuale, ma dall’ansia che vuole trovare oltre i limiti del significante e del significato nuove ragioni estetiche e spazi inediti d’esistenza. L’autrice non adombra con il suo io l’obiettività espressiva e poetica: è evidente che la sensazione di sentirsi dentro questi versi arriva per una magia imponderabile e diventa misura privata che sa tramutarsi in misura universale. La poesia della Bertizzolo, pur essendo radicata nella bella grande tradizione italiana, non è rimasta legata a griglie e a mode e si è calata nel nostro tempo interpretandone le accensioni e le cadute, le dispersioni e le conquiste, le ambiguità, le assurdità, i traguardi. Poesia dunque che non rifiuta nulla a priori, e che guarda al passato, al presente, ma soprattutto al futuro» Maria Marcone: «Passato presente e futuro sono per la Bertizzolo l’antefatto del suo poetare, rappresentano l’humus su cui sbocciano i suoi pensieri, le sue sensazioni, i suoi sentimenti: l’assillo di imprigionare nelle parole la trama fragile e sottile delle emozioni la rende assai accorta nella scelta di queste e spesso la spinge a reiterare suoni in sinonimi o analogie per marcare alcuni significati che le urgono dentro. Ne scaturisce un modo di far poesia sempre più elitario e dotto, senza peraltro mai cadere nel trobar clus, ma esigendo dal lettore attenzione e acume, quasi che l’autrice voglia elevarlo alle altezze cui ha attinto lei nell’attimo della creazione. Il dolore, la morte, la fatica di vivere, di amare e di sognare, lo sforzo di non cadere nel fango e nel vuoto sono sottesi a queste liriche, ciascuna delle quali è un distillato di spirito e di stile» Silvano Mocellin: «L’incontro con la poetessa nell’affollata Chiesetta dell’Angelo per la presentazione del libro Mesti riverberi ha rappresentato, grazie anche all’intensa lettura delle sue liriche dell’attrice Patricia Zanco e all’intervento del pubblico, un momento collettivo in cui le singole dimensioni interiori sono entrate in comunicazione, misurandosi e arricchendosi reciprocamente... Centrale il tema dell’amore [Il fruscio dell’attesa], affrontato in un catulliano dissidio. L’urgenza del sentimento e dello sfogo non è mai disgiunta, però, da uno scandaglio viscerale che riesce a mantenersi pudico e a trattenere il soggetto indagatore al di qua dell’abisso, proprio nel momento dell’intuizione in un rispetto, tormentoso ma assoluto, del sentimento più arcano e misterioso del mondo» Giovanni Nocentini: «Un messaggio, quello di Gabriella Bertizzolo, carico di significati, un inno alla vita con una partitura di suoni, di scansioni interiori forti, che vengono dai luoghi della memoria, dall’io profondo, dove la poesia trova una sincerità di accenti sconvolgenti, come in:”...Adesso ho te, Padre, / nel mio ventre gemmato / dall’Attesa ferace / per venire alla luce. / E raggiunta la vetta / del Golgota espiato, io tua figlia e madre, / potrò darti alla luce / per venire alla luce» (in Storia della Letteratura Italina del secolo XX, Arezzo 1999) Ferdinando Offelli: «Nella poesia della Bertizzolo c’è una ricerca di ergonomia poetica (massimo significato col numero minimo di parole) e il prevalere dell’aspetto auditivo rispetto a quello visivo. La Bertizzolo, lettrice delle sue poesie Mesti riverberi ci ha convinto ancora di più che l’ars poetica, seppure scritta, ha la sua vera natura nell’oralità, cioè nelle parole che diventano suono» Giulio Panzani: «Sono poesie di carne e d’anima [Tutto era inizio], quelle di Gabriella Bertizzolo, marchiate a fuoco vivo nel profondo, comprensibili soltanto a chi sia disposto a coglierne la tessitura quasi labirintica e le tensioni e i rimandi. Non semplici enunciazioni, cioè, elaborate su ritmi e intimismi di ordinarie metafore, bensì totem semoventi (perché le parole di questa raccolta si muovono quasi ritualmente e definiscono precise simbologie) che nel gioco continuo e incalzante delle espressioni celano verità esistenziali, proiezioni e desideri la cui efficacia non si identifica mai con l’edonismo ed anzi si vela, via via, di raffinate ed estenuate affabulazioni lessicali. L’uso di stesure comunicative, quasi richiamandosi all’intrinseca forza musicale delle partiture verbali, si trasforma in una trappola incantata che unisce l’autrice e il lettore nel medesimo ideale di libertà: una ricerca di spazio, d’autonomia e d’aggregazione - nel medesimo tempo - che evoca, di pagina in pagina, la condizione di conflittualità che ognuno di noi porta in sé nei suoi vari significati, che sconvolge i ritmi e la logica di ciò che credevamo - per formazione - essere delle certezze. La Bertizzolo compie, così, non soltanto un atto poetico, ma cerca di risalire, con questo suo percorso che è a ritroso e inquisitorio del presente, alle ragioni dell’io liberandosi dalle invadenze della convenzionalità, dagli stereotipi - forse anche inconsapevolmente - della sua femminilità che, talvolta, la condiziona o ne maschera lo spirito. Antagonista degli altri, dei tradimenti e del dolore, e al limite di se stessa, l’autrice riformula la semantica di un’esistenza i cui aspetti crudeli rappresentano le sue verità violate, esorcizzabili - almeno a livello espressivo e dunque poetico - con questo suo cammino di parole. Prigioniera dei recinti costruiti nell’infanzia, la Bertizzolo non fa mistero di questo suo impalpabile ma fortissimo cordone ombelicale che pure, lo ripetiamo, non è intuibile ad una percezione superficiale ed epidermica e diviene, nel momento stesso in cui se ne compenetra il sema, motivo di maturazione e di presa di coscienza, una specie di vettore energetico che attraversa e pervade ogni possibile alterità con rilevante forza d’amore. Abbiamo detto, all’inizio, poesia di carne e d’anima. Senza dubbio. Ma anche un impasto di cromie e di messaggi olfattivi, di ritmi polivalenti e di quant’altro richiama in molti di questi versi una gestualità che è icastica e contestualmente densa e pastosa di materia ovvero di ciò che in fondo l’autrice ama e teme, che desidera e la spaura. Il concetto del ricordo che è non tanto un guardarsi indietro o semplice attestazione memoriale, ma voglia di un ritorno o - come la stessa Bertizzolo ammette - di un nuovo inizio, è un’altra delle costanti, più o meno esplicite, di molte di queste poesie, una volta acquisito il senso d’annichilimento e d’impotenza nella dialettica uomo-corruzione che stritola chi non sappia ritrasformarsi e rigenerarsi. L’impronta, la presenza di questo sofferto procedere è qui attestata dalla parola. Un linguaggio che l’autrice veste di pieni e di vuoti che possono colmare le attese o farle precipitare con le angosce dissepolte che questa raccolta ci fa sentire anche nostre.... La quinta silloge [Il fruscio dell’attesa] rappresenta un superamento dei consueti e ordinari schemi del verso, a volte presenti in forma di assonanze e rime al mezzo, ma molto addolciti, in una successione liberata dall’unità metrica, come dalla stessa proposta armonica della parola, per trovare una ragione diversa nella ricerca contenustica e degli inquietanti quesiti sul teorico primato dell’io e sulla spietatezza di ciò che lo opprime, pur nei sussulti di seduzioni subite o alle quali si è talvolta consapevolmente abbandonata. L’autrice conosce ogni suo momento e indaga, anche con la parola, nei segni molto spesso ambigui della conoscenza» Mario Pavan: «Il testo corredato da due autoscatti apprezzabili in b/n, denota fin da subito l’esigenza della comunicazione dell’autrice, il suo desiderio di sentirsi partecipe della grande famiglia dell’umanità, come ce lo dice lei stessa in un’introduzione erudita. La Bertizzolo spalanca al lettore le sue creazioni, ora di tono intimo, ora di grido lanciato per riandare anche a ricordare persone e figure che hanno inciso sul nostro vivere di questi ultimi anni. Alcune poesie colgono tale messaggio: leggiamo Senza vita: Senza vita/ sopravvivo/ alla vita.... “Né madre/ né sposa/ né figlia/... soltanto/ ancora adesso/ alipede /embrione /di donna”... può bastare, credo, per scorgere l’io dell’autrice che si ritrova nelle fessure del tempo, nei ricordi, nei tasselli della sua esperienza, scandita ed ora riemersa nella novità di un linguaggio che cerca, che tenta e non si crede ancora appagato, arrivato» Premio “Terzo Millennio” C.A.P.IT. 2006 per poesia edita: «Il fruscio dell’attesa di Gabriella Bertizzolo è un’opera avvincente e composita, difficilmente riconducibile ad un’unica definizione. Un avventuroso e sofferto percorso esistenziale che si allarga ad un’indagine pensosa sul mondo e sul male di vivere» Premio “Città di Fucecchio” 2006 per il racconto inedito: «La credenza di mogano di Gabriella Bertizzolo è la storia di un'assenza, di un vuoto originario e incolmabile che non solo suscita profonde emozioni nel lettore, ma lo costringe a riflettere, a sganciarsi dalla propria identità per riappropriarsene solo dopo aver  indossato quella della protagonista. Notevole la capacità dell'autrice di scandagliare  le più remote pieghe della psiche dei  personaggi, in primis di Germana, di cui sa cogliere lo sgomento e l'angoscia ma anche la fanciullesca speranza e ilarità.  Ne deriva un racconto originale e avvincente in cui il pudore, in virtù di un innato lirismo, genera pagine di alta sensibilità e tensione emotiva. L'impiego di una scrittura ricercata, duttile e accattivante conferisce specifica rilevanza alla narrazione» Premio "Viareggio Carnevale" 2008 per poesia edita: «Argonauta, la nuova raccolta di Gabriella Bertizzolo, nella quale la poesia si compie in un'incisiva forma lessicale scandita, in ogni pagina, con una forte resa d'effetti e con vibrazioni tonali di grande suggestione. Una forma di scrittura certamente moderna, ma al tempo stesso estremamente personale, che definisce uno "stile" nel susseguirsi di parole scelte con cura, in un cromatismo lirico denso e pregnante. Un percorso che si disvela in squarci di memorie e in colpi d'ala che vagano oltre l'orizzonte alla ricerca di approdi ma anche d'intese e di speranze. Una ragione dell'io offerta a chi sappia comprenderne il senso e condividerne le lacerazioni ma anche i momenti d'appassionato amore che i "silenzi impietosi" non possono celare o sopprimere, attesa e sofferenza irrinunciabili di un cuore che si consuma d'ansie e di ritorni» (Giulio Panzani) Premio Nazionale di Poesia "Astrolabio 2008-2009", 3° edizione del Terzo Millennio «Quella di Gabriella Bertizzolo nella silloge Argonauta è una poesia dagli echi multipli, ricca di metafore che rendono la pagina luminosamente variegata. La personale irrequietezza di ricerca si innesta al fluire della quotidianità con profonda consapevolezza dell'indagine, tra sfumature di accensioni e concrete espressioni esistenziali» (Antonio Spagnuolo) Premio Internazionale di Poesia e Arti Figurative "Il Convivio" Messina 2009 «Una versificazione essenziale, talora scarna,che connota un percorso stilistico espresso in un linguaggio criptico che non si apre a una lettura superficiale ma ha bisogno di essere "centellinata" per capire, riflettere, meditare sulla parola al fine di coglierne il nettare,e gustarne fino in fondo l'essenza che nutre. In un uso ricorrente ad un linguaggio espresso in simboli e con una terminologia ricercata,dotta, talora inusuale ma efficace e fulminea nel creare immagini e rappresentare messaggi, la poetessa esprime una vasta gamma di tematiche che attingono al magma esistenziale, nel suo scorrere lento ma inesorabile,che tutto travolge lasciandosi dietro rocce di lava che bloccano processi vitali e intossicano e soffocano con i loro miasmi stentate esistenze. Solo la Conoscenza, la Poesia come ricerca di Assoluto in "sillabe scabre per unire brandelli di vitalità" e l'autenticità dell'essere nella ignuda simplicitas possono diventare "memento del sepolcro svuotato/ a risvegliare/ intorpidite larvate coscienze» (Norma Malacrida) Premio Nazionale di Poesia e Grafica Parole Sparse Futurismo al Cioccolato Perugia 2009 «Gabriella Bertizzolo è riuscita ad entrare pienamente nello spirito del Concorso coniugando in maniera unica storia, sensazioni e voglia di nuovo in un mix capace di unire cultura, ironia e sensibilità con una perfetta armonica costruzione stilistica» (Luciano Lepri) Giovanni Quirini: «Non sembra fingere, non ha paura di mettere il cuore a nudo. Ma nel fare questo, non si sottrae alla tentazione di adottare strumenti apparentemente difensivi. Come, ad esempio, i vincoli metrici o quello ancor più significativo dell’acrostico. Come se fosse necessario un argine, non per difendere l’autrice ma piuttosto il lettore. Il quale di fronte alla discrezione della Bertizzolo, avrebbe il dovere di “uscire dalla gabbia” delle proprie rigidità affettive per accogliere l’invito vitalistico di questi Versi in gabbia» Mario Rigoni Stern: «La ringrazio e mi rallegro per le sue Antiche fessure: proprio belle! (da una lettera all’autrice datata 26 agosto 1997)... Lei ha imparato [sigillo critico a Mesti riverberi] la difficile arte di ‘covar parole’ per dire l’essenziale. Non è poco! Le auguro un bell’autunno luminoso e salute» Cesare Ruffato: «Ho letto attentamente Il fruscio dell’attesa, anche se lontano dalla mia morfologia scriptoria compositiva e dal mio modo di poetare. Perché non tralascia la frantumazione del verso, l’atmosfera futurista della parola gridata vibrata come lama? Siamo avvolti da violenza, terrore rumore, urla ecc. ecc. C’è bisogno di “sottovoce”, carezze; di fascino avvolgente ecc. ecc. E Lei possiede sicuramente tale potenzialità. Conceda un idillio sereno alla Sua poesia; sicuramente inviterà ad una lettura più quieta, meno frastornante, più aderente. Le auguro tanto bene e una adescante serenità di scrittura; perché Lei e poeta!» (da una lettera all’autrice datata 1 febbraio 2004) Paolo Ruffilli: «I suoi Versi in gabbia non solo mi piacciono, ma mi ci sono in qualche modo ritrovato per tutta una serie di consonanze profonde, pur nelle diverse - com’è giusto - esperienze (16 marzo 1995)... In Antiche fessure ci sono poesie di grande forza espressiva, indubbiamente superiori a quelle pur buone di Versi in gabbia che resta un ottimo libro sotto tutti i punti di vista (30 luglio 1996)... E’ un libro di qualità [Mesti riverberi] che continua e consolida quella vena poetica che conoscevo» (da una lettera all’autrice, 19 aprile 2000) Virgilio Scapin: «Ho letto con molto interesse Versi in gabbia e Antiche fessure. I suoi versi, così incisivi, mi hanno colpito. Le mie più vive congratulazioni: lei è una vera poetessa! Mi raccomando, continui con la poesia, non si butti sulla prosa!» (da uno scritto datato 19 settembre 1997) Salvatore Tibaldi: «Essenzialità, rigore, ricerca formale, elementi che nella poesia della Bertizzolo costituiscono trame di un personale percorso stilistico che ha bene assimilato la lezione delle correnti del secondo Novecento. Mesti riverberi è una silloge compatta, dove l’asciuttezza del versificare si accorda ad un impegno costante di indagine pensosa sul mondo e sul senso delle cose espresso in versi sincopati quasi in forma di epigramma» (Giuria del Premio Città di Vecchiano) Fulvio Tomizza: «Ho letto con vivo interesse le sue poesie [Versi in gabbia]: grazie del dono. Lei è poetessa autentica e sensibile. Le auguro tanto successo!» (da uno scritto consegnato all’autrice datato 10 agosto 1998 in occasione dei Lunedì letterari dell’Altopiano di Asiago) Giampietro Tonon: «Poesia affascinante e matura, carica di echi e di occasioni: nervosa, vibratile, essenziale e di leggera e studiata eleganza. Accanto alla congettura e alla struttura nella Bertizzolo assume molto significato l’estetica e la forma»

Numerosi articoli sulla produzione dell’autrice sono apparsi su: Asiago Ieri Oggi Domani, Il Corriere della Sera, Idee, Il Galatino, Il Gazzettino, Il Giornale dell’Altopiano, Il Giornale di Vicenza, La Domenica di Vicenza, Lucania, Marie Claire, News Bassano, Puglia, Punto di vista, La Tribuna Letteraria, Vernice, Vicenza.

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Le foto all'autrice utilizzate per questo sito sono state realizzate dall'arch. Silvia Galvan